ERMANNO COHEN
Padre Agostino Maria del SS. Sacramento o.c.d. – 1820-1871
Vogliamo raccontare una vita che è, tutta intera, un inno all’Eucaristia. Ermanno Cohen vede la luce ad Amburgo nel 1820 in una famiglia ebraica, fu educato secondo la tradizione giudaica anche se la madre si lasciò affascinare piuttosto dal desiderio di assecondare l’evidente genialità del piccolo Ermanno. A cinque anni fu messo in un prestigioso collegio, il ragazzo riuscì ottimamente negli studi, specie nell’apprendimento delle lingue, ma si mostrò particolarmente precoce in campo musicale: lo studio del pianoforte divenne così la sua travolgente passione. Di lui si diceva: «È veramente un genio!». Per quanto piccolo, Ermanno, si era già smisuratamente gonfiato d’orgoglio. Seguendo i desideri del figlio la mamma l’accompagnò a Parigi dove si stabilirono nel quartiere degli artisti mettendosi alla scuola di grandi maestri in un clima che non aiutava a far crescer la vita del ragazzo. La sua anima vibrava durante i concerti ma il suo spirito si andava corrompendo. «È difficile esprimere quanto si corrompesse allora il mio giudizio», dirà lui stesso in seguito.
Solo la musica aveva ancora il potere di dargli la nostalgia dell’Assoluto: «Che cos’ era dunque quella commozione profonda che io provavo ogni volta che suonavo o udivo suonare l’organo? O dolce Gesù, Tu eri sulla porta del mio cuore e io non Te la aprivo!».
Dopo anni di una vita disordinata, quando ormai aveva ventisette anni, un venerdì del mese di maggio 1847 a Parigi, un amico gli chiese un favore: sostituirlo nella direzione di un coro di dilettanti che cantava nella Chiesa di Santa Valeria. Era una delle tante celebrazioni popolari in uso nel mese di maggio ed Ermanno vi partecipò per la prima volta in vita sua. Ed ecco che al momento della Benedizione Eucaristica, il giovane maestro si sentì preso «da una emozione vivissima, ma indefinibile, quasi un rimorso di prender parte a quella benedizione alla quale io non avevo diritto…». Non riusciva a capire. Volle tornarvi il venerdì successivo e l’emozione fu ancora più forte: «Come se un grave peso scendesse su di me e mi obbligasse a inchinarmi e a prostrarmi verso terra, malgrado io…». Malgrado egli resistesse tormentandosi. La storia si ripeté i venerdì seguenti e sempre, quando elevavano Gesù Eucaristia, lo afferrava un invincibile desiderio di piangere, che solo il rispetto umano riusciva a frenare. Finito il mese di maggio, continuò a frequentare le chiese ogni domenica, sempre nel tentativo di darsi una ragione di ciò che gli accadeva. «La grazia divina si compiacque di colpirmi con tutta la sua forza».
Qualche giorno dopo, recandosi in una chiesa, al momento dell’Elevazione gli occhi gli si riempirono di lacrime ed improvvisamente egli credette:
«Sentii sorgere dal più profondo del petto lacerato, dalla mia coscienza, i rimorsi più strazianti per tutta la mia vita passata. E di colpo, per una intuizione spontanea, mi misi a fare a Dio una confessione generale, interiore e rapida di tutte le mie enormi colpe, dall’infanzia in poi: colpe che rivedevo spiegate dinanzi a me, a migliaia, vergognose, repellenti, rivoltanti, meritevoli di tutta la collera del mio sovrano Giudice… E tuttavia sentii pure una calma insolita che subito venne a diffondersi sull’anima, la certezza che il Dio di misericordia me le avrebbe perdonate, che egli avrebbe distolto lo sguardo dai miei delitti, che avrebbe avuto pietà della mia sincera contrizione, del mio amaro dolore… Sì, io sentivo che Egli mi perdonava, e che accettava, come espiazione, la mia ferma risoluzione di amarLo sopra ogni cosa e di convertirmi a Lui per sempre… Uscendo da quella chiesa, io ero ormai cristiano».
Il 28 agosto di quello stesso anno Ermanno ricevette il Battesimo e quando per la prima volta ricevette l’Eucaristia disse:
«O Gesù, mio Amore, quasi non oso dirlo, ma se la fede non mi insegnasse che contemplarti in cielo è una gioia più grande, non crederei possibile che esista una gioia più grande di quella che provo nell’amarti nell’Eucaristia e nel riceverti nel mio povero cuore, che diventa così ricco per Te!».
Aveva deciso di abbandonare non la musica, ma l’attività concertistica. Volle, però, chiudere offrendo a Parigi il più bel concerto della sua vita. Lo scopo, però, non era la vanità, ma la giustizia e la carità. Voleva raccogliere, in una sola volta, tanto denaro da riuscire a pagare tutti i debiti che aveva accumulato nella sua giovane e disordinata vita.
Nel suo cuore aveva deciso di consacrarsi a Dio e scelse l’Ordine carmelitano. Scrisse ai suoi familiari: «Ho scelto un altro destino: la solitudine, il ritiro, il silenzio, la vita nascosta e oscura. Dio mi rende, tutti i giorni, mille e mille volte dì più di ciò che gli ho sacrificato, dandomi tesori di grazie».
Padre Agostino (il suo nuovo nome di Battesimo) portava nel cuore un sogno, pensava che nella Chiesa ci fossero già parecchie associazioni di fedeli, che si impegnavano nell’Adorazione Eucaristica Perpetua, distribuendosi a turno le ore del giorno e della notte. E ogni associazione sottolineava un certo particolare scopo ma non c’era nessuna associazione che si prefiggesse l’Adorazione Eucaristica Perpetua all’unico scopo di ringraziare Gesù di tutti i suoi doni. Confrontandosi con il Santo Curato d’Ars disse: «Padre mio, avete notato come tanti siano occupati più a domandare benefìci al Signore che a ringraziarlo di quelli ricevuti?». «Sì», gli rispose Giovanni Maria Vianney, «purtroppo è vero, siamo come i lebbrosi, che se ne vanno guariti, senza ringraziare». E così l’idea di fondare un’opera eucaristica che avesse l’unico scopo di ringraziare il buon Dio li affascinò entrambi e nel giro di pochi anni giunse a contare circa ventimila membri.
Ma era sempre più stanco e il suo cuore anelava alla solitudine vissuta in un convento-eremo che egli stesso aveva contribuito, anni prima, a fondare. Una grave forma di glaucoma l’afflisse. Non riusciva a sopportare nemmeno la luce di una lampadina normale o di una candela. E presto gli divenne intollerabile la semplice luce del giorno. A malapena – e facendo sforzi dolorosissimi – riusciva a leggere qualche parola. Il dotto oculista, cui lo affidarono, gli proibì ogni forma di lettura per non aggravare l’infiammazione, gli propose di portare lenti biconvesse e un’ abituale visiera verde e di sottoporsi a una difficile operazione da poco inventata: la resezione dell’iride. Padre Agostino decise piuttosto di recarsi a Lourdes. Fece una novena, bagnandosi ogni volta gli occhi doloranti all’acqua della grotta. E ogni giorno faceva constatare a un medico la progressiva scomparsa dell’infiammazione. Tornò a leggere senza occhiali, senza preoccupazioni e fu in grado di guardare senza fatica ogni fonte luminosa, anche lo stesso sole. Così poté vivere nella sua amata solitudine di Taresteix, dove aveva gli umili uffici di sacrestano e infermiere. Gli succedeva, allora, di sentirsi prendere da impeti profondi di amore per Dio e ne restava lui stesso meravigliato perché spesso ciò gli accadeva quando nemmeno pensava a Dio. Ma non si sentiva isolato dalla vita della Chiesa. A Roma si preparava, intanto, la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano I ed egli aveva chiesto ad un nipote di inviargli sistematicamente tutti i ritagli del giornale che parlavano di quell’argomento: gli servivano – diceva – “per essere un vero figlio di santa Teresa, che aveva insegnato a finalizzare alle necessità della Chiesa ogni preghiera, ogni sacrificio, ogni preoccupazione“.
Nel luglio 1870 scoppia la guerra franco-prussiana e viene inviato a Spandau, vicino a Berlino, dove sono ammassati cinquemila prigionieri francesi: i cappellani francesi non possono avvicinarli, Ermanno viene accettato perché di origine tedesca. «I prigionieri mi assediano dalle otto del mattino fino a tarda sera», scrive: «Io mi sono donato a loro e mi usano senza risparmio». Curava le anime e curava anche i corpi in qualità di infermiere. Di salute già precaria, non tardò a sentirsi sfinito. Un mattino di gennaio del 1871 si accorse che qualche vescicola maligna gli era apparsa sulle mani, sulle sue belle e agili mani di pianista. Era il segno terribile del vaiolo, che aveva contratto amministrando l’estrema Unzione a due soldati moribondi. Muore quando aveva poco più di cinquant’anni.
(Sicari A., Nuovi ritratti di Santi, vol. 7 pp 117-132, Jaca Book)