Si tratta della guarigione di un neonato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, dove le Suore Adoratrici sono presenti dal 1958. Nel popoloso quartiere di Binza gestiscono un grande centro di maternità, dove nascono fino a 20-30 bambini ogni giorno, assistiti da suore, medici, infermieri, personale preparato.
Il 25 aprile del 2007, nasce il piccolo Maria Ambrozo. Mamma e figlio stanno bene, tanto che la mattina del 28 aprile vengono entrambi dimessi. È proprio mentre la mamma si incammina verso casa che, per un passo falso, rischia di inciampare e stringe a sé il piccolo che tiene in braccio. Quella stretta provoca un’emorragia al bambino che, in poco tempo, perde una quantità enorme di sangue. La madre quindi, spaventata, due ore dopo le dimissioni, torna di corsa alla maternità perché gli operatori si prendano cura del neonato.
Le suore che accolgono il bambino si rendono subito conto della gravità del caso. L’unica possibilità di salvezza è trasfondere nuovo sangue in sostituzione di quello – troppo – che il piccolo ha già perso. Ma lo stato di sofferenza è così avanzato che le piccole vene del bambino sono appiattite…. Medici, tecnici e infermieri cercano ovunque, disperatamente, per circa 45 minuti una vena in cui poter inserire la siringa per la trasfusione. Ma senza esito.
Intanto la situazione si aggrava ulteriormente; non sono possibili interventi di altra natura, forse attuabili in una clinica europea o americana… Ma in un centro di maternità in un Paese del Continente africano, altre cure non si possono attuare, per carenza di mezzi. L’unica speranza è trovare una vena. Quella vena che non si trova! Tanto che, dopo circa un’ora dall’ingresso del neonato, il medico stesso esce dalla stanza dichiarandone ormai la morte certa. «A un certo momento poi il bambino ha fatto un respiro profondo come fosse l’ultimo sospiro»: così ricorda suor Adeline, ormai sicura della morte imminente del neonato. Ma è proprio lei, suor Adeline, suora Adoratrice responsabile della maternità di Binza, che testimonia: «Sono uscita dalla sala e sono andata in casa; lì ho trovato la mia superiora, suor Antonietta Musoni [di Pozzaglio, ndr], e le ho detto: Suor Antonietta, prega, c’è un bambino che sta per morire».
Accesa una lampada in cappella, davanti all’immagine del padre Fondatore, sr Adeline prega padre Spinelli: «Padre Fondatore aiutaci, aiuta questo bambino che sta per morire; io metto la mia fiducia solo in te». Ha quindi preso un’immaginetta di padre Francesco e l’ha fatta scivolare sotto il lenzuolino del bambino, steso sul lettino ormai inerme. Improvvisamente, lì dove per quasi un’ora tutti avevano cercato una vena, i testimoni dicono di aver visto apparire «come per miracolo» una grossa vena, come quella di un uomo adulto, tanto che, senza alcun problema, hanno potuto inserire l’ago per la trasfusione e, dopo 3-4 gocce di sangue, il bambino ha ripreso vita, iniziando a scalciare e a piangere. In pochi minuti il neonato si rimette completamente e, alle 13.00, mamma e figlio sono dimessi, sani e felici, dalla maternità. Da quel momento i genitori, consapevoli dell’evento straordinario successo al loro bambino «che era già quasi morto ma è risuscitato», come testimonia il papà, gli cambiano il nome da Ambrozo Maria Diaz a Francesco Maria Spinelli Diaz!