La parola “cardinale” viene da cardine, perno. Le virtù cardinali, che San Tommaso chiama anche virtù naturali sono come i cardini, fanno girare una porta, sono quelle virtù che “fanno girare bene” la nostra vita. Esse sono quel tipo di “dotazione di bordo” che noi abbiamo e che, con la Grazia, con la Parola di Dio crescono e diventano splendide, ma che normalmente, umanamente, ogni uomo possiede e può esercitare bene o male, ma ce l’ha. Deve solamente sfruttarle e assecondare queste virtù secondo il bene più alto. La prudenza viene comunemente nominata per prima quando si elencano le virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza), perché è necessaria alle altre tre. È definita anche auriga virtutum, “cocchiere delle virtù” perchè conduce le altre virtù al loro compimento. Spesso pensiamo e riduciamo il prudente a colui che segue i consigli della mamma, va piano in macchina, si mette la maglia di lana, non osa…. Tutto questo con la prudenza non c’entra niente! La prudenza è una virtù bella dell’uomo, è l’arte di sapersi prendere quello che vale di più. La prudenza ci fa raggiungere gli obiettivi che valgono nella vita.
La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. (CCC 1806)
Il prudente infatti è colui che valuta le cose sulla base dello scopo, della meta, si chiede nei singoli momenti: “Sì, ma questo dove mi porta?”. Il viaggio, se è fatto in maniera tale che passo per posti meravigliosi, ma andrò a sfracellarmi alla fine, beh, non è che sia un gran viaggio, a me non importa di tutti questi posti meravigliosi, preferirei evitarli. Se il viaggio è squallido, orribile, ma mi porta nel posto più bello del mondo, facciamolo questo viaggio, che importa se non è bellissimo! E’ questo criterio che porta i santi spesso ad affrontare anche le situazioni più umilianti e dolorose come mezzo per raggiungere uno scopo più alto. Alla luce di queste “semplici” considerazioni possiamo tranquillamente affermare che don Francesco Spinelli ha tenuto nella sua vita un comportamento tale da meritarsi di essere definito un uomo prudentissimo, dal momento che fu sua caratteristica porsi difronte alla realtà come spettatore attivo e impegnato, vigile e riflessivo, esaminatore dei mezzi da preferirsi o da omettersi prima di comandare la realizzazione di quanto stabilito.
L’evento tragico del fallimento economico, che contrassegna il futuro dell’Istituto delle Suore Adoratrici nato in Bergamo, ha fatto spesso pensare a don Francesco come ad uno sprovveduto, ad uno che non ha saputo fare i conti con le proprie possibilità, ad uno che non ha verificato la fattibilità di investimenti grandi, dunque più ad un sognatore che si è lasciato prendere dall’ideale grande della Carità! In realtà don Francesco è stato vittima dell’imprudenza di altri che non hanno saputo guardare al bene più alto, ma hanno “rivolto la testa al proprio ombelico”, perseguendo interessi personali e lasciandosi guidare dall’invidia e gelosia di fronte alla rettitudine di un santo uomo che desiderava investire tutto il suo capitale per realizzare tra le povere ragazze l’opera di carità a cui Dio l’aveva chiamato.
La testimonianza di suor Rosa Viganò ci conferma che il comportamento abituale di padre Spinelli denotava il possesso di una elevatissima prudenza:
Il Servo di Dio possedeva una prudenza veramente soprannaturale; in quanto suo intento supremo era di impedire il peccato e di dar gloria a Dio, e a tal fine sapeva coordinare tutti i mezzi opportuni. Non ho mai notato né sentito riferire che commettesse imprudenze tanto si sorvegliava nei colloqui, nelle visite, nel ricevere donne, nell’infliggersi penitenze e tanto gli era abituale di chiedere consiglio prima di intraprendere qualunque iniziativa. Sono fermamente persuasa che il nostro Padre non è stato imprudente nemmeno nell’assumere le opere e le imprese, che ebbero poi seguito tanto doloroso fino al fallimento ed al processo. Ripeto che anche allora agì sempre dietro consiglio dei Superiori: anzi in ossequio alle pressioni insistenti del Vescovo. Sono inoltre convinta che la stampa a lui avversa, la quale ha dato pubblicità alla crisi finanziaria dell’Istituto, serviva ad appoggiare una montatura dell’ambiente liberale, ma che il Servo di Dio fu davvero una vittima innocente.
“Nelle deliberazioni di cose importanti si consigliava col SS. Sacramento e ci faceva pregare. Prendeva tempo a decidere, interrogava le suore anziane e gli amici sacerdoti. Per la fondazione della sua Congregazione per molto tempo si lasciò dirigere dal Gesuita Padre Mai. Domandò l’approvazione e la ottenne dai vari Vescovi» riferisce suor Giuseppina Pasta.
La prudenza, è imprescindibile dall’umiltà che molti considerano una quinta virtù cardinale aggiunta: molto spesso infatti le persone imprudenti sono coloro che peccano di presunzione e si lanciano in avventure che non sempre regalano loro risultati positivi. Don Francesco umilmente si affidava a Dio e, specie negli affari di maggiore importanza, al parere di persone notoriamente prudenti ed esperte in materia. Tanto don Francesco umilmente e prudentemente chiedeva parere e consiglio, tanto il ricorso a lui di persone che abbisognavano di consigli specifici, sottolinea la forza e concretezza di questa virtù nella sua storia. Era apprezzato come sacerdote prudente e di consiglio, non erano soltanto persone del popolo quelle che accorrevano a lui, bensì numerosi sacerdoti e persino Vescovi, tra i quali era assiduo nel sollecitare il suo prudente consiglio Mons. Bonomelli, Vescovo di Cremona, per affari delicati e che toccavano il bene materiale e spirituale della sua diocesi.
Sperimentò personalmente la straordinaria prudenza di don Francesco anche il Rev. Alessandro Lamberti:
Per esempio: quando egli ebbe compreso la mia tendenza alla vita monastica mi sostenne decisamente, volendo che entrassi nel monastero subito, senza esitazione, superando l’opposizione del papà che era forte e che durò per sette anni; avevo 17 anni. Quando, secondo la regola, sarei dovuto uscire e rientrare in famiglia, prima di intraprendere il postulandato, il Padre Spinelli mi accolse presso di sé a Rivolta, per non espormi al pericolo che si sarebbe potuto presentare in famiglia, dove solo la mamma mi appoggiava. Esperimentai pure la prudenza del Servo di Dio in occasione del mio passaggio dalla Congregazione Solesmese alla Cassinese al quale ero stato esortato dal mio confessore. Il Padre Abate‑Gauthey era dispiaciuto di questo mio progetto e mandandomi presso il P. Spinelli, a Rivolta, per una settimana di orazione e riflessione, scriveva contemporaneamente allo stesso Padre, perché interponesse la sua autorità per farmi desistere. Da notare che io ero professo solenne e suddiacono e che il P. Spinelli era stato ricevuto oblato benedettino dallo stesso P. Abate. Passata la detta settimana il P. Spinelli, passando sopra ad ogni riguardo di amicizia, mi esortava ad affrettare il trasferimento aggiungendo: “Dio ti farà santo là dove ti chiama, se saprai corrispondere alla sua grazia”.
L’esperienza di don Francesco ci insegna che la prudenza è una virtù indispensabile per crescere nella vita spirituale, per crescere anche nella vita umana, per essere uomini e donne dal tratto alto, nobile. La prudenza illumina la meta, quindi evita gli eccessi, sia nel troppo che nel poco, non si tratta infatti di vivere con il freno a mano sempre tirato esistenzialmente, ma neppure di andare verso qualcosa che mi “brucia” la vita o che me la spegne prima ancora che abbia un suo fuoco. La prima esigenza della virtù della prudenza è quindi di non agire con precipitazione ed emotività, non lasciarsi guidare dalle impressioni e dagli stati d’animo del momento, ma ogni proposta deve essere esaminata e vagliata con calma, serenità ed attenzione, diversamente, con tutte le buone intenzioni, si producono solo danni irreparabili. E’ regola elementare di prudenza non prendere alcuna decisione importante, non mettere mano ad un affare di rilievo, non fare un rimprovero, quando si è interiormente sconvolti da qualche passione e soprattutto regola d’oro per vivere da prudenti è l’umiltà di chiedere il parere ad ogni persona che sia saggia.
L’uomo non sempre usa prudenza, anzi, tende a gettarsi spesso in situazioni più grandi di lui senza calcolarne i rischi. Questo perché nella società moderna viene meno la differenza tra bene e male, tra quello che si può fare e quello che invece è vietato. Oggi, la domanda che l’uomo si pone, non riguarda ciò che è moralmente corretto e ciò che non lo è; oggi l’attenzione dell’individuo va da tutt’altra parte. Che male c’è a fare una cosa piuttosto che un’altra, anche se fuori dalle regole morali, se comunque non reca un danno evidente al prossimo? E con questa domanda, che contiene implicitamente la giustificazione ad agire senza troppe remore, l’uomo continua la sua vita agendo senza prudenza dimenticando che nella vita esistono anche degli obblighi verso se stessi e non fare male al prossimo non è l’unico obiettivo dell’uomo. Agire bene e con prudenza è dunque “un abito mentale, una maniera di porsi di fronte a sé, agli altri, e a Dio: tutto questo sembra essere stato dimenticato, aver perso la sua evidenza“. Solo agendo con prudenza si potrà vivere una vita piena.
(Testimonianze tratte dalla Positio Super virtutibus vol. 1)