Abbiamo chiesto a Madre Camilla di aiutarci a comprendere meglio il significato del Capitolo e di dare uno sguardo all’Istituto: che cosa resta del passato, che cosa la aspetta per il futuro.
Madre Camilla anzitutto che cos’è un Capitolo generale?
«Un capitolo è un’assemblea di sorelle, alcuni membri di diritto e altre elette dalla Congregazione, che si ritrova essenzialmente per due scopi. Anzitutto per tenere sempre uno sguardo fisso sul carisma delle origini, che poi è diventato carisma di istituto per la ricchezza che ha accumulato negli anni. Il nostro compito sarà di riflettere come renderlo attuale nell’oggi, in questo tempo storico, amato dal Signore, a beneficio delle persone che oggi vivono nella Chiesa e nel mondo. Secondo scopo è elettivo: le sorelle si confrontano, pregano, chiedono il dono dello Spirito per individuare la persona, che poi è già scelta dal Signore, che guiderà l’Istituto nei prossimi sei anni. Prima si sceglierà la Superiora generale e poi le sue consigliere».
Lei usa spesso l’immagine del Cenacolo, perché?
«Mi piace davvero tanto questa immagine. Quando Gesù è asceso al Cielo, i suoi potevano andarsene a casa e invece sono tornati a Gerusalemme, nella stanza del piano superiore, dove hanno vissuto l’intimità con il Maestro in un momento così doloroso, ma anche così affettuoso. Lì, in quell’intimità, si ritrovarono gli undici, con alcune donne, con Maria la madre di Gesù e alcuni altri fratelli di Gesù, dice il libro degli Atti. A me fa tanto bene pensare la comunità degli undici, e non dei dodici, come una comunità imperfetta, limitata, come siamo noi! Saremo trenta sorelle, povere, piccole, fragili ma desiderose di stare unite in preghiera e di invocare veramente lo Spirito per venire illuminate, per capire quali strade intraprendere, quali vie nuove possono essere imboccate nella Chiesa e nel mondo per annunciare il Signore secondo il nostro carisma. Questa stanza del piano superiore la intendo come occasione di incontro intimo con Cristo, un luogo in cui anche noi siamo chiamate a rimanere alla presenza e in ascolto per intuire quali sono le indicazioni del Signore e le risposte che oggi si possono dare all’uomo del nostro tempo».
Che cosa rappresenta questo capitolo per le Suore Adoratrici?
«Nella relazione conclusiva del sessennio ho dato una sintesi di quanto fatto a partire dal capitolo 12 della lettera ai Romani: la scelta di fondo, infatti, è quella di lasciarci continuamente conformare al Signore Gesù. Questo ci deve stare a cuore! Lasciarci conformare, neanche conformarci, perché noi non siamo capaci. Occorre prendere la stessa forma di Cristo Gesù così come ce la presenta la lettera ai Filippesi. Dobbiamo, poi, ritrovare nell’Eucaristia la sorgente di doni sublimi e cercare continuamente l’unità dell’istituto nella diversità delle persone e delle culture. Oggi il tema è proprio quello di ritrovare nell’Eucaristia la centralità di quest’unità e nello stesso tempo il rispetto e l’accoglienza delle differenze culturali, che sono una ricchezza e che devono essere concretamente valorizzate come ricchezze! Noi delle differenze abbiamo paura, pensiamo di essere minacciate e invece dobbiamo ritrovare la nostra identità di battezzate e di donne consacrate all’Eucaristia per una missione nella Chiesa. Solo così potremo essere adoratrici dedite al servizio dei fratelli nella carità ricordando alla Chiesa che è chiamata a essere adoratrice. Lo dico con trepidazione perché non vogliamo insegnare niente a nessuno».
Che cosa augura alle sorelle capitolari?
«Auguro un cuore aperto e una mente docile, disponibile, attenta alle intuizioni e ai suggerimenti dello Spirito, che è presente e va continuamente invocato. E non da ultimo una grande libertà interiore: con capacità di dialogo, confronto, comunicazione senza paura dell’altro. Tutto questo, naturalmente, lo trasformo quotidianamente in preghiera».
E a tutte le Suore Adoratrici?
«Auguro di gustare la bellezza di appartenere al Signore e di appartenerci le une le altre. Auguro a me e a ciascuna sorella di sentirsi parte di un corpo vivo che è la Chiesa e di un piccolo corpo che siamo noi, perché le gioie e le sofferenze della Chiesa e del mondo siano le nostre gioie e sofferenze. E questo discorso vale nel piccolo di una comunità di tre sorelle e nell’intero istituto: essere partecipi della vita della altre, sentirci parte viva. È bellissima l’espressione del Fondatore che dice, nel primo capitolo tenuto da lui il 3 maggio 1884: “se una sorella di un’altra comunità ha bisogno e tu non hai che un pane solo, spezzalo e dallo a questa sorella. Amatevi le une le altre, tenete vivo il privilegio nella Chiesa di essere adoratrici e di stare in adorazione”. Ciò significa che non dobbiamo rifugiarci nelle attività, che pure ci prendono e non vanno trascurate! Occorre, invece, tenere sempre stretto il binomio “adorazione e servizio di carità fraterna”».
Se dovesse esprimere in una parola ciò che è stato questo sessennio, cosa direbbe?
«Ho gustato la dolcezza dell’amore fraterno, pur nella sofferenza di alcune situazioni che abbiamo vissuto come Congregazione. Penso, in modo particolare, alla morte della carissima suor Albina, che pur essendo stata per breve tempo consigliera ha lasciato un grande segno nella mia vita; penso anche ad altri eventi dolorosi. Sono molto contenta, però, di lasciare questo servizio di autorità nella gioia della fraternità e di un perdono reciproco. Vivendo insieme posso aver ferito qualche sorella nel cambiamento di attività o di ruolo, ma fa parte della vita e del servizio».
Ora che lascia la guida dell’Istituto che cosa farà?
il Messaggio ufficiale di madre Camilla in occasione del Capitolo