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L’inizio di un cammino, il racconto della novizia Federica

Le ultime voci dei salmi si sono spente; la chiesa si è riempita di silenzio, mentre madre Isabella scandisce: Federica, cosa chiedi?

”Che cosa cercate?”.

Quell’uomo si è appena voltato e ci fissa, mentre indugiamo sulla nostra risposta. Nel suo sguardo si spalancano profondità che non sappiamo ancora se avremo il coraggio di sondare; eppure la decisione si fa sentire chiara, al di là di tutto. “Rabbì, dove dimori?” “Venite e vedrete”…

Chiedo di fare esperienza della vostra vita comunitaria, di continuare a venire e vedere dove hai trovato dimora, dove hai fissato la Tua tenda dentro l’umanità di un sacerdote santo, dove molte altre pellegrine prima di me l’hanno trovata.

Lascio risuonare il sapore frizzante e agrodolce di quel “cosa chiedi?”. Lo sguardo che spalanca abissi mi fissa dal fondo del pozzo, risale dall’alba dei tempi, dal cuore del mondo; al suo respiro tintinnano dall’aurora dell’umanità quelle radici “ricamate nelle profondità della terra”.

“Dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete”.

Un sorso breve; rimane in bocca il sapore della storia: povertà, dita che tessono, malattie, bombe dai cieli albanesi e incursioni dalle foreste africane, i tocchi delle agonie e i funerali proibiti. La sete che viene saziata e dilatata, mentre quest’acqua viva, ancora una volta, è diventata vino…

Infine le Tue parole sferzano l’allegria del banchetto. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.

Le Tue mani spezzano il pane, e il rumore dello spezzarsi è come il fragore dei giorni di Berat e come le sirene spiegate delle ambulanze fra le strade lo scorso marzo. E i colori gravi della sera di quell’ultima Tua cena erano gli stessi delle notti brevi e tese di suor Stefania, all’ombra di un’altra Pasqua; e fra le mani aggrovigliate attorno al cenacolo riconosco quelle rugose di suor Celina, che non smettono di fare il piccolo bene che possono, fin dove riescono ad arrivare; e quando alzi lo sguardo per benedire il calice è la voce di suor Marina a colmare le distanze in una Casa Famiglia completamente isolata,…

(Insegnatemi a perseverare nella preghiera e nella conversione)

… sono le note della fantasia di suor Giulia che spaccano il silenzio della paura e della solitudine. E attorno al tavolo dell’ultima cena si rincorrono gli sguardi attenti e commossi delle suore di santa Maria e dei bambini di Pachino e delle ragazze di Marzalengo e di altre discepole, giovani e meno giovani, attente al mistero che le Tue dita dischiudono mentre frangono il pane.

(e a formare con voi un cuore solo e un’anima sola, al servizio della Chiesa e di tutti gli uomini).

E il correre e avvicinarsi agli ospiti e sorridergli di suor Mariagrazia non era quel passo discreto delle donne che Ti accompagnavano con delicatezza e amore fin sotto la Tua croce?

(Chiedo di imparare dal vostro esempio a seguire Cristo crocifisso e risorto.)

Stacco, cambio scena: i lampeggianti e la coperta termica stesa sopra quel corpo senza vita in piazza san Rocco, a Como, in quell’aiuola, in mezzo a quelle persone.

E’, questa, una sete che irrora le aridità del mondo, “irriga i deserti dell’anima”.

(Aiutatemi a testimoniare il Vangelo in ogni momento della vita.)

Ci portiamo davanti al sacello di padre Spinelli, al termine dell’ora media, come lui si era inginocchiato davanti alla culla di Betlemme, nella basilica di santa Maria Maggiore, intuendo lì la prima nota di quel “poema immenso d’amore” che aveva risuonato fino al Calvario, esprimendo tutti i movimenti e le variazioni di una vita totalmente donata, fino alla fine, totalmente incarnata nella storia.

Una storia che, a guardar bene, ha chiamato tutti quanti a rispondere, con le nostre vite semplici e quotidiane, d’improvviso, qualche mese fa, ricordandoci che tutti i giorni ci chiama a rispondere, assumendoci la responsabilità e il coraggio di scelte passo dopo passo più autentiche, più radicate e radicali.

Allora non era altri che la storia, che la Vita incarnata, ad esigere una risposta, scavandomi dentro con il suo sguardo di serena attesa lì davanti all’altare…

“Cosa chiedi?”

Chiedere. Dal lat. quaerere, dalla radice Ka – cercare, desiderare (di amore).

“Dimorate nell’amore, il mio” (Gv 15, 9).

Chiedo, cerco, cammino, rimango.  “Per nulla anteporre al Suo amore”.

Federica in postulato con la comunità di Casa Famiglia, suor Stefania, suor Maria Grazia, suor Marina, suor Celina e suor Giulia

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