Condividiamo l’articolo apparso oggi sulla pagina di Avvenire dedicata alla diocesi di Cremona, in occasione della 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.
“Ecco, io faccio una cosa nuova…”
La pandemia ci sta “obbligando” a fermarci, a riflettere, a contemplare, a “stare”… E quando giunge la primavera ci si accorge quanto sia stupendo vedere una “gemma” su di un ramo che sboccia: lì c’è tutto; in quel germoglio c’è il fiore, il frutto… Ha soltanto bisogno di essere guardata dal sole, rinfrescata dalla pioggia, accarezzata dal vento… È poesia? No, è la realtà che ci tocca.
“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). Riconosciamo che questa parola di Isaia è ancora viva. Sì, attorno a noi, dentro di noi, si ripete questo miracolo. Mi piace pensare così la vocazione: una chiamata a essere se stessi nel progetto meraviglioso e unico di Dio! Non si finisce mai di scoprirlo, perché si è sempre sor-presi da Lui. Che bello poter permettere a se stessi e aiutare gli altri a rivelarsi e divenire dono di Dio per tutti, per dire al mondo, a ogni uomo, che Dio c’è, Dio ama, Dio è con noi.
Ecco perché dire “germoglio” è dire tutto ciò che genera vita! Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata delle vocazioni ci riconferma questa realtà: la vocazione tende a generare e rigenerare vita ogni giorno.
Come comunità religiosa, come comunità parrocchiale e diocesana, come comunità di famiglie siamo chiamate a scoprire e vedere questi “germogli nuovi” che creano in noi gratitudine, speranza, sguardo di fede. Siamo chiamati, oggi ancor di più, a volgere lo sguardo, il pensiero, il cuore ai più giovani, a coloro che spesso ci interrogano, ci destabilizzano, ci scuotono, ci rivelano ciò che siamo; e mentre diventiamo quello “spazio” dove i giovani possono riflettere e scoprire la propria vocazione, ci disponiamo a lasciarci mettere in discussione per verificare la fedeltà, il nostro sì all’amore, che ci accompagna ogni giorno nella fatica e nella gioia.
Ho parlato di comunità, perché nessuno nasce e vive da solo; abbiamo bisogno gli uni degli altri per aiutarci a essere coerenti, fedeli, felici di essere ciò che siamo. Penso quindi alle nostre comunità di consacrate, alle famiglie, ai seminari, alle parrocchie, alle diocesi… Tutti siamo chiamati a vivere in comunione, gli uni al servizio degli altri, perché insieme possiamo guardare, amare, “custodire” i germogli di vita che il Signore dona alla Sua Chiesa. Stiamo imparando come ogni vocazione nella Chiesa ritrovi la sua bellezza nella reciprocità. Oggi gli Istituti religiosi, le Congregazioni, noi Adoratrici, non possiamo più essere autoreferenziali; siamo “segno” se restiamo in comunione con la Chiesa e nella Chiesa. Ecco la forza che apre i nostri occhi e i nostri cuori.
Quando penso alla mia vocazione di Adoratrice mi commuove sempre pensare di essere “grembo dove il Mistero e i fratelli si incontrano”. È troppo azzardato? Penso proprio di no, se la nostra vita diventa capacità di ascolto, di accoglienza, di attenzione… Aprire le porte di casa e aprire le porte del cuore permette a tanti giovani, fratelli e sorelle, di entrare e trovare quello spazio dove incontrare il Signore.
Non possiamo essere noi i protagonisti, i primi attori… Non è questa la nostra missione! Che bello poter essere invece mano, piede, voce, occhio, cuore di cui l’altro ha bisogno per incontrare il Signore!
Le parole di papa Francesco diventino motivo di speranza e di preghiera per ciascuno di noi, un augurio e una certezza: “Come sarebbe bello se la stessa atmosfera semplice e radiosa, sobria e speranzosa, permeasse i nostri seminari, i nostri istituti religiosi, le nostre case parrocchiali! È la gioia che auguro a voi, fratelli e sorelle che con generosità avete fatto di Dio il sogno della vita, per servirlo nei fratelli e nelle sorelle che vi sono affidati, attraverso una fedeltà che è già di per sé testimonianza, in un’epoca segnata da scelte passeggere ed emozioni che svaniscono senza lasciare la gioia. San Giuseppe, custode delle vocazioni, vi accompagni con cuore di padre!”.
madre Isabella Vecchio