4 marzo 2023
In tanti ci siamo trovati questa mattina a Caravaggio: tante suore provenienti da diverse comunità, numerosi amici, un nutrito gruppo della FES (Fraternità Eucaristica Spinelliana). Abbiamo iniziato la giornata riuniti intorno alla celebrazione dell’Eucarestia. Nutriti dal Suo Corpo per essere un solo Corpo. Quel Corpo che è la Chiesa. Perché i santi, nella gioia e nel dolore, non smettono di sperare, di sperare stando nella Chiesa, che è madre. Don Umberto Zanaboni e suor Paola Rizzi ci hanno fatto da ciceroni per strade di santità e di speranza: le strade della vita di don Primo Mazzolari e di San Francesco Spinelli. Salite, strade interrotte, itinerari ricalcolati nell’obbedienza alla realtà avendo sempre e solo come meta la vita eterna.
“Aspetto la primavera, che mi porti la Pasqua”: questo scriveva don Primo a febbraio del ’59, poche settimane prima di morire, sofferente al cuore, dopo vent’anni di condanne da parte del Sant’Uffizio. E l’intreccio, quasi un’identificazione, fra speranza e primavera, contraddistingue la spiritualità del parroco di Bozzolo, “tromba dello Spirito Santo in terra cremonese”, profeta in un’epoca di grande povertà e immenso rancore, provata dalla tragedia di due guerre mondiali.
Speranza per Mazzolari vuol dire radicarsi nella verità del Vangelo oltre le parziali verità della ragione, del dovere e persino dell’interpretazione del Vangelo; e questo non può che significare radicarsi nel Mistero della Pasqua di Cristo. Un mistero vissuto “appoggiato alla croce”, prospettiva da cui il sacerdote visse, donò e annunciò la speranza; in particolare è la speranza la base su cui don Primo fonda la sua obbedienza, fedele anche nella contestazione, alla Chiesa.
“Oggi per noi è la festa della speranza”. Così ha esordito suor Paola nel suo intervento, ricordando il lontano 4 marzo 1889 in cui San Francesco è stato accolto dalla comunità rivoltana dopo il fallimento. Alcuni tratti di santità sono comuni, a don Primo, a don Francesco e a tutti i santi. Don Primo ha scritto tanto trovando nella scrittura un’arma potente per tirare fuori quanto aveva nel cuore e consegnarlo non solo al Signore ma anche alla carta e lì lasciarlo riposare, quanto scritto e il suo cuore. San Francesco non ha scritto così tanto ma abbiamo numerosi testimoni che ci hanno raccontato di lui, del suo essere un “santo semplice che però nella sua semplicità e umiltà ha portato questo germe di speranza di cui noi siamo testimoni dopo più di un secolo”.
Abbiamo scoperto di una Speranza nel Paradiso, speranza che è frutto della preghiera. Speranza che è fiducia nella Provvidenza. Speranza manifestata da un volto sorridente, da un cuore che spera. Speranza che il Signore porta a compimento quanto inizia e mai abbandona, mai. La sua era una speranza pregata, una speranza affidata, una speranza incarnata, di lui si dice che “contro ogni speranza, sperava sempre”.
Col cuore ricolmo di gratitudine dopo l’ascolto delle parole di don Umberto e suor Paola la giornata è proseguita con il pranzo in fraternità e poi con la recita del rosario in Santuario e un ulteriore dono: la spiegazione della cupola restaurata.
Scritti, testimonianze, racconti… frammenti di Cielo che hanno fatto battere il cuore al ritmo della speranza. Tornando verso casa lasciamo che risuonino in noi le parole di San Francesco: “Vedete che non dobbiamo mai perdere la speranza?”. È una speranza che è anche per noi, credibile, che non delude. Il Signore l’ha promesso che non ci deluderà, è con noi e sarà con noi “tutti i giorni, fino al compimento del mondo”. Don Primo, don Francesco ci hanno creduto e non sono rimasti delusi. Possiamo crederci anche noi. Possiamo fidarci.