Tracce di misericordia

Sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti

sopportare pazientemente

Nel nostro tempo – epoca dei diritti e delle opportunità – potrebbe apparire desueto o, persino, “ingiusto” accogliere l’invito a tollerare con pazienza chi, attraverso il suo comportamento o la sua presenza, ci reca molestia o procura fastidio. Un molestatore va semmai ripreso con fermezza e denunciato, affinché cambi il suo comportamento e smetta di infastidire gli altri con la sua condotta. sopportare pazientementeNella Sacra Scrittura la molestia non è descritta però solo a partire dal punto di vista dei legittimi diritti, ma anche da quello delle inattese opportunità. Un episodio biblico ci conferma che quando ci ritroviamo – volenti o nolenti – a sopportare qualcuno che, per la nostra vita, non è altro che un peso e un fastidio, dobbiamo fare molta attenzione, perché potrebbe trattarsi di un misterioso – ma reale – momento di incontro tra noi e la povertà di Dio. I vangeli sinottici raccontano che, durante il cammino di Gesù verso il Golgota, un passante si trova a essere molestato da un’improvvisa e fastidiosa richiesta: «Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre dì Alessandro e di Rufo» (Me 15,21). sopportare pazientementeSimone proveniva dall’Africa ed era emigrato a Gerusalemme forse in cerca di lavoro. Aveva trovato un posto nei campi come bracciante e, in quel giorno di festa, stava tornando a casa come tutti per riposarsi e celebrare la Pasqua ebraica con la sua famiglia. Viene costretto, invece, a supportare un estraneo e a sopportare tutte le conseguenze di quel faticoso cammino di solidarietà, tra cui l’impurità derivante dall’essersi “contaminato” con un condannato a morte. Il testo lascia intendere che Simone non vuole, eppure si trova a compiere ciò che nemmeno i discepoli sono stati capaci di fare: seguire Gesù fino alla fine, portando con lui la croce che salva il mondo. Più tardi, probabilmente, capirà (cf. Rm 16,13) e scoprirà che, proprio per aver sopportato con pazienza la molestia di un’improvvisa croce sulle spalle, ha potuto compiere la più meravigliosa delle azioni: aiutare Dio a realizzare il suo disegno di amore.

pregare per i vivi e i morti

Al   culmine delle opere di misericordia troviamo un gesto che, a prima vista, potrebbe non sembrare nemmeno qualcosa da fare. Chi da poco tempo, o solo occasionalmente, si esercita nell’arte della preghiera ignora quanta fatica, lavoro e combattimento interiore siano necessari per restare davanti a Dio con tutto il corpo e con tutto il cuore. Pregare non significa né formulare pensieri né pronunciare parole, ma compiere un atto totale, cioè una decisione, nella quale saliamo coraggiosamente sul promontorio della vita e della storia per elevare le braccia a Dio (cf Es 17,8-13), per noi e per tutti i nostri fratelli assenti (cf. Ez 22,30). Se ogni preghiera è espressione di carità, lo è senza dubbio in forma eminente la preghiera di intercessione, con la quale possiamo offrire il nostro tempo e il nostro affetto per gli altri. Pregare non per noi stessi, inoltre, è l’opera di misericordia più bella perché è essenzialmente gratuita. pregare per i vivi e i mortiMentre in tutte le altre opere noi abbiamo la consapevolezza – almeno iniziale – di fare – e di poter fare – qualcosa di buono per gli altri, attraverso il gesto della preghiera esprimiamo piuttosto l’incapacità di poter essere gli autori del benessere e della salvezza degli altri. Accettiamo, invece, di poterli affidare unicamente e ultimamente alla misericordia del Signore, come ha fatto Gesù che «ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (Is 53,12). E sulla croce ha desiderato fino in fondo la salvezza e il perdono per tutti: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Intercedere non significa inginocchiarsi davanti a Dio per convincerlo a usare misericordia verso qualcuno o per segnalargli alcuni casi particolarmente bisognosi della sua attenzione. Dio è già abbondantemente convinto di voler fare il bene e ha gli occhi spalancati e attenti sulla realtà di ogni sua creatura. Intercedere significa piuttosto convincere il nostro cuore della mite bontà di Dio, fino al punto da diventare noi stessi qualcosa di quel suo desiderio di bene. Intercedere significa incarnare il desiderio di salvezza di Dio per gli uomini che egli ama, rinunciando a pretendere che il compimento di questo desiderio debba avvenire secondo i nostri parametri e le nostre aspettative. A colui che intercede è sufficiente poter offrire le sue membra, la sua carne e il suo sangue, affinché il cuore di Dio abbia una tenda dove poter sprigionare la sua forza di amore lungo la storia e per la vita eterna. La preghiera raccomandata dalla tradizione della Chiesa non è solo per i vivi, ma anche per i morti. pregare per i vivi e i mortiSono proprio questi ultimi a elevare le opere di misericordia a un vertice insuperabile di purezza e gratuità. Se dai vivi è possibile aspettarsi ancora qualche forma di gratificazione, dai morti non ci si può aspettare più nulla a livello sensibile. Pregare per loro esprime necessariamente amore disinteressato e fiducia nella forza del mistero pasquale. Noi discepoli di Cristo, infatti, «crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» (1Ts 4,14). La preghiera per i vivi e per i morti è l’opera con cui, giorno dopo giorno, possiamo convincere il nostro cuore che il desiderio di Dio abita ormai anche in noi mediante il suo Spirito: che tutti gli uomini «siano una sola cosa» (Gv 17,11) e «siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4).

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