È il 20 Maggio 1990 quando Papa Giovanni Paolo II proclama “beato” Pier Giorgio Frassati, e dona alla Chiesa, in particolare ai giovani, un amico che ha incarnato nella sua vita le beatitudini del Vangelo. Basta dare uno sguardo alla sua biografia per stupirsi. Pier Giorgio, infatti, nasce a Torino il 6 aprile 1901 e muore il 4 luglio 1925. La sua vita terrena dura solo 24 anni, ma gli sono sufficienti per lasciarsi trasformare da Dio al punto da vivere da Beato. Lo stupore cresce perché Pier Giorgio non faceva nulla di straordinario. Nella messa di beatificazione, viene descritto così:
“La fede e la carità, vere forze motrici della sua esistenza, lo resero attivo e operoso nell’ambiente in cui visse, in famiglia e nella scuola, nell’università e nella società; lo trasformarono in gioioso ed entusiasta apostolo di Cristo, in appassionato seguace del suo messaggio e della sua carità. Il segreto del suo zelo apostolico e della sua santità, è da ricercare nell’itinerario ascetico e spirituale da lui percorso; nella preghiera, nella perseverante adorazione, anche notturna, del Santissimo Sacramento, nella sua sete della parola di Dio, scrutata nei testi biblici; nella serena accettazione delle difficoltà della vita anche familiari; nella castità vissuta come disciplina ilare e senza compromessi; nella predilezione quotidiana per il silenzio e la “normalità” dell’esistenza”.
Ecco una bellissima definizione del giovane Frassati: giovane e entusiasta apostolo di Cristo. La sua relazione con il Signore era così forte e intensa che non poteva essere contenuta nello spazio di una chiesa o nel tempo della preghiera. Contagiava tutto della vita di Pier Giorgio. Così ha vissuto da beato. La sua vita era tutt’altro che facile: la sua famiglia, una delle più in vista della città, era ricca di denaro, ma povera di affetto e di comprensione. I genitori avevano un piano per lui: che finisse gli studi, che mettesse le testa a posto. Ma Pier Giorgio non poteva farlo. Va all’università, ma per studiare ingegneria mineraria. Così avrebbe potuto essere “minatore tra i minatori”.
Rimane in casa e accetta che la sua famiglia non contribuisca economicamente al sostentamento dei poveri della città, ma pur di prestare loro aiuto si priva del necessario. È accanto ai poveri, agli sfrattati, agli emarginati, ma non si accontenta di aiutarli a “sopravvivere”. Così accanto al suo impegno nella San Vincenzo unisce l’impegno in politica. Raccontando delle persone a cui stava vicino dirà: “..io che ho avuto da Dio tante cose sono sempre rimasto così neghittoso, così cattivo, mentre loro, che non sono stati così privilegiati come me, sono così infinitamente migliori di me…”. Riesce a vedere nei più poveri così tanta dignità solo chi li serve amandoli. E Pier Giorgio andava dritto alla sorgente dell’Amore per averne in abbondanza: la comunione quotidiana, il silenzio, la preghiera, il rosario erano per lui Vita. Ed era fede pura, lontana da ogni sentimentalismo, così solida che lo consumava nel servizio. “La carità di Cristo ci abbisogna e non senza questo fuoco, che a poco a poco deve distruggere la nostra personalità per palpitare solo per i dolori degli altri”.
Pier Giorgio era innamorato della vita senza temere la morte. “…Bello è vivere in quanto al di là v’è la nostra vera vita…”. Così poteva vivere senza paura di donarsi, spingendosi sempre verso l’alto, proprio come faceva sulle montagne che tanto amava. Al suo funerale verranno in molti a portargli l’ultimo saluto: alcuni accorsi per rendere omaggio alla famiglia Frassati, poi i suoi amici, quelli che sono stati contagiati dal suo impegno e dal suo desiderio di bene e poi quelli che amava di più: i poveri, gli sfrattati, i lavoratori sfruttati…tutti gli ultimi che ha amato e lo hanno amato.
Filippo Turati, fondatore del Partito socialista italiano, sul giornale «La giustizia», pubblicherà un articolo su Frassati. Sono passati solo 4 giorni dalla sua morte, eppure riesce a inquadrare perfettamente quale eredità grande e bella lascia al mondo:
“Era veramente un uomo, quel Pier Giorgio Frassati che la morte a 24 anni ghermì. Ciò che si legge di lui è così nuovo insolito che riempie di riverente stupore anche chi non divide la sua fede. Giovane ricco, aveva scelto per sé il lavoro e la bontà. Credente in Dio, confessava la sua fede con aperta manifestazione di culto, concependola come una milizia, come una divisa che si indossa in faccia al mondo, senza mutarla con l’abito consueto per comodità, per opportunismo, per rispetto umano. Convintamente cattolico e socio della gioventù cattolica universitaria della sua città, disfidava i facili scherni degli scettici, dei volgari, dei mediocri, partecipando alle cerimonie religiose, facendo corteo al baldacchino dell’Arcivescovo in circostanze solenni. Quando tutto ciò è manifestazione tranquilla e fiera del proprio convincimento e non esibizione ostentata per altri scopi, è bello e onorevole.
(…) Tra l’odio, la superbia e lo spirito di dominio e di preda, questo “cristiano” che crede, e opera come crede, e parla come sente, e fa come parla, questo “intransigente” della sua religione, è pure un modello che può insegnare qualcosa a tutti.”